Editoriale

Maurizio Rossini

Dipartimento di Medicina, Sezione di Reumatologia, Università di Verona

Cari Colleghi

il tessuto osseo e quello muscolare scheletrico sono intimamente connessi tra loro da un punto di vista biomeccanico ed è stato ipotizzato che la vitamina D possa essere considerata una molecola “regista” del cross-talk intertissutale che governa l’efficienza strutturale e funzionale dell’apparato muscolo-scheletrico. 

In questo numero troverete un update sul rapporto tra ipovitaminosi D e l’osteosarcopenia e in particolare sui meccanismi attraverso i quali la vitamina D sembra condizionare la forza muscolare. Anche il muscolo è dotato di recettori per la vitamina D ed è stato osservato, in studi condotti su animali, che la loro delezione comporta sarcopenia e deficit di funzione muscolare. E’ peraltro noto da tempo che una condizione di grave carenza di vitamina D può manifestarsi con una grave debolezza muscolare, specie a livello dei muscoli prossimali, e quindi con un aumentato rischio di cadute. Tuttavia, è ancora dibattuto se la supplementazione con vitamina D negli adulti viventi in comunità determini un aumento della forza muscolare e riduca il rischio di cadute o se addirittura un eccesso di supplementazione possa peggiorare questi outcome. Una metanalisi del 2014 concludeva che la supplementazione con vitamina D migliorava la forza muscolare, ma ciò non è stato confermato da due metanalisi più recenti. Due recenti metanalisi, incluse nella selezione bibliografica di questo numero, non hanno trovato una significativa riduzione del rischio di cadute e di fratture con la supplementazione di vitamina D.  Due precedenti metanalisi avevano dimostrato una significativa riduzione del rischio di cadute in soggetti carenti, ma non, comprensibilmente, in soggetti non carenti. Due recenti RCTs, tra cui il VITAL, non hanno osservato un effetto sul rischio di cadute, ma i partecipanti erano in gran parte repleti di vitamina D! D’altra parte, come ricorderete, la somministrazione di un bolo di 500.000 UI di vitamina D, peraltro in gran parte in soggetti non carenti, era stato visto associarsi a un aumento del rischio di cadute dopo 3 mesi. Anche in altri due studi è stato osservato un aumento del rischio di cadute in chi raggiungeva elevati livelli sierici di 25(OH)D e nello Stop-it trial, è stata osservata una “curva a U” nella relazione tra livelli sierici di 25(OH)D e rischio di cadute, indicando una concentrazione ottimale tra i 20 e i 40 ng/ml. Probabilmente le diversità nello stato vitaminico D e nel profilo clinico (ad es. performance muscolare, body mass index e comorbilità) dei soggetti trattati, la variabilità degli schemi di trattamento e la mancanza di endpoints primari ben definiti giustificano la discordanza nei risultati e così purtroppo generano incertezze e confusione.

L’altro articolo di questo numero è dedicato al possibile ruolo antinfiammatorio della vitamina D. La regolazione dell’infiammazione e dell’espressione delle citochine è di cruciale importanza non solo per le molteplici patologie infiammatorie ma anche in considerazione della recente ipotesi dell’“inflammaging”: con l’aumentare dell’età si verificherebbe, infatti, lo spostamento verso uno stato proinfiammatorio che creerebbe e manterrebbe  un’infiammazione cronica di base, cui conseguono danni d’organo e la progressione verso varie malattie croniche tipiche dell’invecchiamento (ad es. reumatologiche, metaboliche, cardiovascolari e tumorali). Ebbene recentemente è stato osservato che anziani con deficit di vitamina D hanno più elevati livelli ematici di proteina C reattiva. Pochi e talora discordanti sono gli studi che hanno valutato l’effetto della somministrazione di colecalciferolo, in particolare in soggetti carenti, sullo stato infiammatorio e spesso sono presenti bias che ne limitano l’interpretazione, specie in condizioni patologiche. In un gruppo di soggetti giovani e sani ma carenti di vitamina D abbiamo recentemente osservato che la supplementazione con colecalciferolo determina una progressiva riduzione dei livelli di IL-6 e IL-17, due citochine chiave nella patogenesi rispettivamente dell’artrite reumatoide e delle spondiloartriti. La carenza di vitamina D potrebbe quindi accelerare l’inflammaging e aumentare il rischio, la progressione o ridurre la risposta al trattamento di patologie infiammatorie.

Cosa ne pensate?

Buona Lettura

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