Cari Colleghi
in questo numero troverete innanzitutto un update sul possibile ruolo della vitamina D in diverse malattie dermatologiche, poiché il suo deficit può concorrere alla patogenesi di alcune malattie cutanee, sia neoplastiche che immunomediate.
Da reumatologo sono in particolare interessato alla psoriasi, la cui incidenza e gravità si sono dimostrate associate in numerosi studi a carenza di vitamina D e il cui trattamento prevede da anni l’uso di analoghi topici della vitamina D.
L’associazione della psoriasi con manifestazioni artritiche è frequente e ben nota: l’artrite psoriasica è classificata tra le spondiloartriti (SpA), che rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie reumatologiche infiammatorie croniche accomunate da caratteristiche genetiche, radiologiche e cliniche, tra cui il possibile coinvolgimento delle entesi, dello scheletro assiale e delle articolazioni sacroiliache oltre che di quelle periferiche. Numerose evidenze dimostrano che specifiche citochine infiammatorie sono coinvolte nella patogenesi delle SpA (IL17, IL23, TNF-α, IL6). In particolare l’IL17 svolge un ruolo patogenetico sia per quanto riguarda l’impegno articolare che per quello a livello delle entesi e dell’osso. Recenti evidenze indicano inoltre che nella patogenesi delle SpA sono coinvolti anche fattori metabolici oltre che immunologci, tra cui in particolare quelli che modulano il metabolismo osseo, come DKK1, sclerostina e PTH, come da noi dimostrato. Su entrambe queste componenti patogenetiche, immunologiche e metaboliche, vi è il razionale scientifico per ritenere che la vitamina D, spesso descritta carente in pazienti affetti da SpA, possa avere un ruolo importante. Infatti, oltre a svolgere un ruolo essenziale nella regolazione del metabolismo fosfo-calcico, tra cui il controllo del PTH, la vitamina D è anche riconosciuta per le sue azioni immunomodulatorie e antinfiammatorie. La vitamina D può infatti agire con meccanismo endocrino (la tipica azione di regolazione del metabolismo osseo), ma anche autocrino-paracrino, grazie alla presenza all’interno delle singole cellule dell’enzima 1-α-idrossilasi in grado di produrre il metabolita attivo 1,25(OH)2 vitamina D. Sia il recettore per la vitamina D che l’1-α-idrossilasi sono espressi da diversi tipi di cellule immunitarie tra cui macrofagi, cellule T, cellule dendritiche, monociti e cellule B, e studi preclinici indicano che la vitamina D esercita effetti biologici sia sul sistema immunitario innato che su quello adattativo, tra cui quelli sulla produzione di citochine proinfiammatorie.
è noto che la carenza di vitamina D è associata a un aumento dei livelli sierici di mediatori pro-infiammatori, tra cui IL-6 e TNF-α, che sono correlati sia allo sviluppo che alla progressione di patologie reumatologiche infiammatorie come le SpA. Recentemente abbiamo inoltre osservato che in soggetti sani, ma carenti di vitamina D, la supplementazione con quest’ultima determina una riduzione significativa dei livelli di IL-6 e IL-17.
Il secondo articolo di questo numero è dedicato al dibattito in corso sulla scelta tra colecalciferolo e calcifediolo. Gli Autori concludono che sulla base delle conoscenze di fisiologia e delle attuali evidenze scientifiche il colecalciferolo dovrebbe essere considerato la terapia di prima scelta nella prevenzione e nel trattamento della carenza di vitamina D e che l’uso del calcifediolo dovrebbe essere limitato a situazioni particolari, quali per esempio sindromi da malassorbimento, obesità di grado severo o insufficienza epatica.
Anche nelle “Particolari avvertenze” della Nota 96 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) si precisa che le principali prove di efficacia antifratturativa sono state conseguite utilizzando colecalciferolo, che risulta essere la molecola di riferimento per tale indicazione e che la documentazione clinica in questa area di impiego per gli analoghi idrossilati è molto limitata. Dovrebbe preoccupare pertanto che dal monitoraggio di AIFA dei consumi di vitamina D in seguito alla Nota 96 a fronte di un risparmio di spesa per la riduzione nell’uso di colecalciferolo, emerga un aumento del consumo di calcifediolo e di alfacalcidiolo, trascurabile dal punto di vista economico ma non da quello dell’appropriatezza.
Cosa ne pensate?
Buona lettura