Cari Colleghi
in questo numero ospitiamo come vedete due contributi relativi al complesso ma finalizzato metabolismo della vitamina D, ancora in parte inesplorato, e alla necessaria distinzione tra valori normali e ottimali di vitamina D.
Nel primo contributo appare affascinante l’interpretazione derivante dalla paleontologia secondo la quale la vitamina D, e in particolare il colecalciferolo, rappresenta un mezzo straordinario finemente regolato per rispondere innanzitutto alle necessità di un migliore assorbimento intestinale di calcio, che si è reso necessario quando, nel corso dell’evoluzione, i vertebrati si sono spostati progressivamente dai mari (dove la disponibilità del calcio era più che sufficiente) alla terra.
Nel secondo articolo di questo numero si vuole contribuire alla discussione in corso sulla corretta definizione della carenza di vitamina D, chiarendo che i valori normali oppure ottimali di vitamina D sono diversi a seconda che ci si riferisca alla popolazione sana generale o a pazienti con specifiche patologie particolarmente a rischio di carenza di vitamina D o delle conseguenze di quest’ultima.
Si noti come manchi tuttora a livello internazionale una coerente definizione della carenza di vitamina D da parte delle maggiori società scientifiche interessate, come mostrato in Figura 1.
Ciò deriva appunto anche dal tipo di popolazione cui sono rivolte le differenti raccomandazioni, ben diversa se si tratta della popolazione generale sana, per la quale livelli di 25OHD superiori alle 50 nmol/l sembrano bastare a prevenire le riconosciute complicanze ossee della carenza, o di singoli pazienti, quali ad esempio quelli affetti da osteoporosi, specie se anziani, nei quali appaiono ottimali valori superiori alle 75 nmol/l.
È chiaro che la corretta definizione della carenza di vitamina D condiziona le strategie di prevenzione, che dovrebbero essere diverse a seconda della prevalenza di tale carenza, differente nelle varie popolazioni per le diverse condizioni fenotipiche, genetiche, anagrafiche, antropometriche, geografiche, climatiche, nutrizionali, culturali e di stile di vita…
Nel recente position statement dell’European Calcified Tissue Society, tra l’altro dedicato giustamente alla memoria di Steven Boonen e di Silvano Adami, viene riconosciuto che la carenza di vitamina D è comune in Europa, specie nelle Nazioni del Sud, e nel Medio Oriente, ed è tale da raccomandare per la popolazione generale strategie di fortificazione degli alimenti e di supplementazione con vitamina D per particolari categorie a rischio (bambini fino a 3 anni, donne in gravidanza, anziani istituzionalizzati o di oltre 70 anni, immigrati e rifugiati).
Cosa ne pensate?
Buona Lettura